UNEP: truffa o peculato? quale reato per gli ufficiali giudiziari che si appropriano delle somme per le notifiche?

04.05.2016 16:32

Il caso che si commenta ha ad oggetto la condotta appropriativa di due Ufficiali Giudiziari dell'UNEP che, stando all'impianto accusatorio ed alla sentenza della Corte d'Appello che li ha condannati, si sono appropriati ed hanno conseguito, in via fraudolenta, somme di denaro per alterazione del dato contabile di riscontro per le "notifiche a richiesta di parte", le cui spese gravano sui privati, secondo il sistema dell'anticipazione in favore dell'ufficiale procedente.

Per quanto qui di interesse, va sottolineato come le difese degli imputati abbiano evidenziato, con riferimento al motivo di censura sulla qualificazione giuridica del fatto, l'assenza di un pregresso possesso delle somme di denaro da parte degli ufficiali giudiziari.

Evidenzia, in particolare, il difensore di uno dei due imputati, come il possesso del denaro ricevuto dalle parti private fosse in capo soltanto al cassiere dell’UNEP che provvedeva a rimborsare i vari ufficiali giudiziari richiedenti, previo svolgimento degli opportuni controlli, provvedendo ad emettere i vari mandati di pagamento.
L’assoluzione in primo grado del cassiere avrebbe per ciò stesso escluso la qualificabilità delle appropriazioni ai sensi dell’art. 314 cod. pen., consentendo, al più, la ricomprensione delle contestate condotte nella previsione normativa di cui all’art. 640 cod. pen..

A tale proposito, tuttavia, la Corte di Cassazione ha obiettato, attraverso un articolato ragionamento, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento.

Non era, dunque, l'alterazione dei dati documentali -attraverso i quali l’agente rappresentava il compimento di operazioni per le quali l’UNEP era tenuto ad anticipare denaro- a far conseguire all’agente il possesso del denaro: secondo la Corte, il possesso del denaro deriva dalla posizione, comunque rivestita, di operatore UNEP addetto alle notifiche.

L’Ufficio Cassa, infatti, non effettuava alcun controllo contabile rispetto alla preventiva richiesta avanzata dall’operatore, controllo la cui esistenza avrebbe segnato una soluzione di continuità tra l’iniziale obiettiva situazione di “non disponibilità” e la successiva acquisita “autonoma disponibilità” o possesso, del denaro in capo all’operatore.
E dunque, la fase iniziale dell’attività dell’operatore è, piuttosto, contrassegnata dal carattere indistinto del possesso del denaro nei rapporti tra il primo e l’Ufficio Cassa e ciò in ragione di un pronto adempimento dei compiti istituzionali, mentre l’alterazione del dato e pertanto il meccanismo fraudolento diviene rilevante, e come tale passibile di controllo, solo a fine mese allorché, operando ormai con effetto postumo, lo stesso consente all’operatore di conseguire in via definitiva, a vantaggio personale proprio, il denaro.
Le adottate modalità di frode non sarebbero state, quindi, destinate a produrre con carattere di immediatezza e definitività una autonoma disponibilità del denaro a vantaggio dell’operatore.

Viene dunque evidenziato, nel rigettare definitivamente il motivo di ricorso, che la differenza tra la truffa ed il peculato va individuata nel fatto che nel reato di peculato il possesso e la disponibilità del denaro per fini istituzionali costituisca un antecedente della condotta criminosa, mentre nella truffa l’impossessamento della res è l’effetto della condotta illecita.

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Avv. Giuseppe Di Palo