Sentenza di patteggiamento ed estinzione del reato.

28.02.2016 11:28

Il codice di procedura penale dispone che il reato è estinto se, nel termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, il condannato, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, non abbia commesso un altro delitto della stessa indole. 

La materia in esame è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, che, con la ordinanza n. 107/98 ha avuto modo di precisare che la commissione di un delitto prima del quinquiennio è causa ostativa della estinzione del reato solo in caso di accertamento dello stesso con sentenza passata in giudicato.

La struttura della norma in esame ha, peraltro, imposto la necessità di tenere distinti i due momenti della commissione del reato ostativo alla declaratoria di estinzione, che deve avvenire nel termine stabilito dall'art. 445 comma 2 del  codice di rito, e dell'accertamento giudiziale della relativa colpevolezza, che può intervenire anche dopo la scadenza di tale termine.

Tuttavia, ciò ha indotto la Suprema Corte, in alcune occasioni, a ritenere che anche laddove non vi sia stata una sentenza di condanna passata in giudicato per il reato successivamente commesso, sarebbe comunque preclusa la possibilità di dichiarare l'estinzione del reato oggetto di patteggiamento.

Tale assunto si fonda sull'assenza, nel nostro ordinamento, di una norma di revoca della declaratoria di estinzione, prevista, invece, in caso di sospensione condizionale della pena. Ed infatti, mentre l'art. 168 c.p. dispone la revoca della sospensione condizionale della pena nell'ipotesi che venga commesso un altro reato, nessuna disposizione prende in considerazione la revoca della declaratoria di estinzione ex art. 445 comma 2 c.p.p., laddove dopo l'ordinanza che abbia dichiarato estinto il reato, diventi irrevocabile la sentenza che accerta la commissione del reato commesso successivo nel successivo quinquiennio. D'altra parte, ad avviso dei Giudici che sostengono questa interpretazione, neppure potrebbe estendersi analogicamente al caso in esame la disposizione dell'art. 168 c.p., poiché si porrebbe in essere un'operazione analogica in malam partem, inammissibile nel nostro ordinamento.
In definitiva, secondo alcune pronunce della Corte di Cassazione, se l'effetto estintivo è precluso unicamente dall'aver commesso un reato nel termine prescritto dalla legge, la causa estintiva del reato non può essere applicata quando la condizione alla quale essa è subordinata è ancora incerta.

Più di recente (ed in maniera certamente più condivisibile), però, una pronuncia della Suprema Corte ha disatteso tali considerazioni, pronunciandosi su un provvedimento del Gip di Verona che aveva rigettato l'istanza di estinzione di un soggetto, giacché era iscritto, nei suoi confronti, un procedimento penale (peraltro, ancora in fase di indagini).

Ad avviso della Corte risulterebbe, in conclusione, del tutto irragionevole, e non solo contrario al canone fondamentale dell'art. 27 comma secondo Cost.,  privilegiare un'interpretazione, come quella seguita dai provvedimento impugnato, che, in presenza dei requisiti richiesti dall'art. 445 comma 2 cod.proc.pen. e dell'accertata inesistenza - in atto - di condanne definitive per reati ostativi, subordini l'interesse della parte a una tempestiva declaratoria di estinzione del reato ai tempi di definizione di una (mera) notitia criminis che, allo stato attuale della legislazione, non sono ancorati a termini certi né prevedibili (se si eccettuano quelli di prescrizione del reato).

 

Avv. Giuseppe Di Palo

 



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