Omesso versamento ritenute d'acconto: la inesigibilità del credito vantato dal fisco.

04.04.2016 17:34

Si sottopone ai lettori una sentenza particolarmente rilevante in tema di reati tributari.

L’imputato era consigliere delegato, con delega all’amministrazione e alla finanza, di una S.p.A. nel periodo d’imposta 2010, e dunque rappresentante legale della stessa. Nel corso dell'istruttoria dibattimentale è stato dimostrato (o, meglio, è stato ammesso) l'omesso versamento di € 731.313,00 dovuti a titolo di ritenute certificate risultanti dai modelli 770 alla  data di scadenza imposta per legge (il 22.08.2011). L’istruttoria, dinanzi al pacifico dato del mancato pagamento all'erario delle ritenute, si è dunque concentrata sull’analisi delle ragioni e delle circostanze concrete in presenza delle quali tale condotta omissiva è stata tenuta.

Il Giudice, all'esito del dibattimento, assolve l'imputato ricorrendo al principio costituzionale di colpevolezza: ad avviso del Giudicante, laddove ricorrano determinate e specifiche condizioni, non si può esigere dal consociato un comportamento conforme al dettato normativo. 

Nel caso concreto, la crisi di liquidità -che è uno degli elementi che concorrono a determinare le condizioni di inesigibilità del comportamento conforme a legge- ad avviso del Tribunale, non fa venir meno il fatto tipico, né (ovviamente) nella sua oggettività, né sotto il profilo psicologico.

Sotto quest'ultimo specifico punto, in particolare, viene sottolineato che l'art. 10 bis del D. Lgs 74/2000 è un reato punito a titolo di dolo generico, essendo sufficiente, per la sua configurabilità, la mera coscienza e volontà di omettere il versamento delle ritenute, senza che, perciò, possano essere valutate le ragioni per le quali è stata posta in essere l'omissione.

Ed infatti, sottolinea il Giudice, la stessa giurisprudenza che giunge ad esiti assolutori “perché il fatto non costituisce reato” in casi analoghi a quello de quo , pur motivando la decisione con l’assenza del dolo, finisce in realtà per fondare la propria conclusione non già sull’esistenza di una condotta dell’agente inconscia, inconsapevole, involontaria, bensì sulla considerazione che quella condotta, per quanto volontariamente tenuta, debba ritenersi ‘imposta’ al soggetto dalle circostanze contingenti eccezionali che questi si trovò ad affrontare.

Ma ciò è esplicativo non già dell’assenza del dolo, ma dell’inesigibilità soggettiva di un a condotta diversa e, quindi dell’impossibilità di muovere un rimprovero all’agente, di ritenerlo, cioè, colpevolmente responsabile per quel fatto.

Non è un caso che in talune sentenze con cui la recente giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di assolvere per difetto dell’elemento soggettivo nel reato tributario, si faccia espresso riferimento alla “inesigibilità della condotta alternativa rispetto a quella concretamente adottata dall'imputato”. Una posizione, questa, condivisa anche da recentissime pronunce della giurisprudenza di merito che ha ritenuto che l’elemento soggettivo del reato sia escluso in presenza di una “tendenziale inesigibilità” di ulteriori e diversi comportamenti (rispetto a quelli concretamente tenuti dall’imputato) per affrontare il periodo di difficoltà considerato.

E così, in dottrina, commentando siffatte decisioni. si è osservato come, in alcuni casi, risulti “obiettivamente difficile esprimere un giudizio di rimproverabilità allorché il soggetto attivo, ad esempio, adduca l’impossibilità al pagamento per aver dovuto fronteggiare una grave crisi aziendale durata alcuni anni, provvedendo ad adeguare gli impianti per poter continuare l’attività, rispettare quanto alla rateizzazione degli arretrati da corrispondere ai dipendenti e ad adempiere al pagamento delle retribuzioni degli stessi”.

Insomma, la rilevanza esimente che la giurisprudenza riconosce a situazioni di crisi di liquidità che seppur non “assolute”, e dunque inidonee ad escludere l’oggettività del reato determinano comunque una situazione di incolpevole anormalità delle circostanze concrete concomitanti al fatto tipico , sembra esplicativa di un implicito riconoscimento nel diritto vivente dell’esistenza di un principio generale di inesigibilità.

Clicca qui per leggere tutta la sentenza (tratta da www.penalecontemporaneo.it)

 

Avv. Giuseppe Di Palo

 

 



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