Il medico che rifiuti una prescrizione indifferibile commette il reato di rifiuto di un atto d'ufficio.
Il caso oggetto del nostro esame è quello di una paziente di un medico di base che si reca presso il suo studio per chiedergli di prescriverle dei farmaci per continuare una terapia antitumorale che stava seguendo.
Il medico è stato condannato per rifiuto di atti d'ufficio, avendo rifiutato di prescriverle i farmaci, attesa, tra le altre cose, la chiusura al pubblico, in quel giorno, dello studio (che costui utilizzava anche come abitazione, unico motivo per il quale, quel giorno, si trovava lì).
Occorre sin da ora chiarire che il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo; pertanto ricorre la violazione dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (al corretto svolgimento della funzione pubblica) ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce di esigenze prese in considerazione e protette dall’ordinamento, prescindendosi dal concreto esito dell’omissione.
E, a prescindere dalla richiesta o da un ordine, il rifiuto penalmente rilevante si verifica anche quando sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assuma la valenza di rifiuto dell’atto medesimo.
Rispetto al caso di specie, dunque, assume rilievo, ai fini della sussistenza del reato, non già la doverosità della prescrizione richiesta al medico di base, in ragione dell’orario di apertura al pubblico dell’ambulatorio, bensì la valutazione della doverosità e della indifferibilità della prescrizione terapeutica richiesta all’imputato perché relativa ad una terapia oncologica in corso, a lui ben nota, che non poteva subire interruzioni, necessaria per la cura della grave patologia dalla quale la persona offesa era affetta, terapia già prescritta dal medico specialista che seguiva la denunciante.
Le circostanze di fatto così illustrate connotano, pertanto, una situazione di urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto: in casi come questi, perciò, l’inerzia del pubblico ufficiale assume la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo in presenza di una situazione di indifferibilità dell’atto richiesto, rapportata alla sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona.
Sia chiaro che questa indifferibilità va certamente correlata al potere demandato al sanitario di decidere sulla necessità della terapia: tuttavia, quando le circostanze di fatto dimostrano che alla base del diniego non vi sia una valutazione discrezionale del medico sulla necessità del farmaco, che, perciò, si è risolva in un indebito comportamento omissivo giustificato dall’imputato sulla base di generici richiami, ricorrono gli estremi del rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell'art. 328 c.p.