Guida in stato di ebbrezza e tenuità del fatto: la parola alle Sezioni Unite

17.02.2016 15:49

Cass. Pen. IV sez. - Ordinanza n. 49824/15

 

La IV sez. della Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, ha rimesso la seguente questione alle SS. UU.: se sia possibile o meno applicare ai reati di guida in stato di ebbrezza la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p.

I Giudici premettono che, su un piano generale, il problema si connette al profilo dell'offensività della condotta, evocata dallo stesso art. 131-bis c.p., che prevede l'applicabilità dell'istituto in esame quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma (ossia in base alla gravità del reato sul piano oggettivo), l'offesa è di particolare tenuità.

In generale, viene evidenziato come la dottrina abbia manifestato forti perplessità rispetto all'applicabilità della tenuità del fatto con riguardo a tutte quelle fattispecie criminose in cui, all'individuazione delle "soglie" di punibilità, si accompagna la configurazione delle fasce di minore gravità come illecito amministrativo, e di quelle di maggiore gravità come illecito penale.
E ciò perché, dall'applicazione dell'art. 131 bis a dette ipotesi di reato deriverebbe che:

1) nel caso in cui la condotta rientri nella fascia di perseguibilità penale (e dunque di maggiore gravità),  l'applicazione dell'istituto in esame comporterebbe l'assenza di qualsivoglia conseguenza sanzionatoria;

2) nel caso in cui, viceversa, la condotta si qualifichi come illecito amministrativo (in quanto rientrante in fattispecie di minor gravità), all'autore sarebbero applicabili le relative sanzioni.

In buona sostanza, ad avviso della Corte, sarebbe di maggior convenienza per il reo, sotto il profilo delle conseguenze della sua condotta, superare la soglia penale ed ottenere il proscioglimento per tenuità del fatto.

Ebbene, la violazione di cui all'art. 186, secondo comma, lettera a) Cod. Strada, configurabile quando il tasso alcolemico del conducente sia compreso fra 0,5 e 0,8 09/I, è sanzionata in via amministrativa (la sanzione pecuniaria è compresa fra € 527 ed € 2108); le violazioni in cui il tasso alcolernico è superiore (da g/I 0,8 a g/I 1,5 la lettera b; oltre g/I 1,5 la lettera c) costituiscono illecito penale. Solo in relazione a queste ultime sarebbe ovviamente applicabile la causa di non punibilità in esame. Sul punto, la S.C. evidenzia come, in una recente decisione della stessa Sezione IV (sentenza n. 44132 del 09/09/2015, ric. Longoni), sulla base di un ricco percorso argomentativo, l'istituto è stato ritenuto applicabile al reato di cui all'art. 186, co. 2 lett. b) Cod. strada.

Proprio perché il Collegio rimettente non condivide questa conclusione e nella consapevolezza della prevedibile nascita di un contrasto giurisprudenziale, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.

Nel motivare il dissenso rispetto alla richiamata sentenza n. 44132/15, viene manifestato il convincimento che il legislatore, nel disciplinare le tre ipotesi di illecito descritte nel secondo comma dell'art. 186 del codice della strada (la prima ipotesi di natura amministrativa, le altre due di rilievo penale), abbia già "a monte" operato una valutazione di maggiore o minore pericolosità, calibrando l'entità delle rispettive sanzioni (ivi comprese le sanzioni  accessorie amministrative) in relazione ad un dato tecnico ben preciso, costituito dal tasso alcolernico. Di tal che, nel ravvisare la "particolare tenuità del
fatto" con riferimento alle due ipotesi di valenza penale -magari addirittura nell'ambito della stessa forbice-, il giudice sembrerebbe sostituirsi in qualche modo al legislatore, non disponendo di altri o diversi parametri cui poter ancorare motivatamente e ragionevolmente un giudizio di "tenuità"
.

Ad avviso della Corte, in sostanza, appare problematico ritenere "particolarmente tenue" un'ipotesi-base di reato la cui (presunzione di) gravità il legislatore ha ancorato ad un ben preciso dato tecnico ed oggettivo, con conseguente irrilevanza delle modalità della (condotta di) guida che ben possono variare da caso a caso.

E perciò, seguendo il ragionamento condensato nell'ordinanza in commento, apparirebbe viepiù paradossale il fatto che, a voler ritenere applicabile l'art. 131-bis c.p. anche alle ipotesi di reato di guida in stato di ebbrezza, chi guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico tra 0,5 e 0,8 g/I (illecito  amministrativo) andrebbe incontro -come accennato- alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 527,00 ad euro 2.108,00, con sospensione della patente di guida da tre a sei mesi; chi guida in stato di ebbrezza con tasso superiore a 0,8 g/l, beneficiando della "particolare tenuità del
fatto" potrebbe evitare le sanzioni penali. Ciò rafforza il convincimento che il legislatore abbia, invece, già implicitamente escluso qualsiasi possibilità di attribuire connotazioni di "particolare tenuità" alle ipotesi di reato di cui alle lettere b) e c) dell'art. 186, secondo comma, del codice della strada
.

L'applicazione dell'istituto della tenuità del fatto, inoltre, sarebbe preclusa anche per l'assenza di alcuna previsione normativa in tema di sanzioni amministrative accessorie che conseguono alla sentenza penale di condanna per guida in stato di ebbrezza.

Viene infatti evidenziato come, nel caso di non punibilità per particolare tenuità del fatto, non è prevista alcuna considerazione al riguardo da parte del legislatore, a differenza, invece, di quanto è disposto dall'art. 168-ter c.p. che significativamente disciplina gli effetti dell'estinzione del reato per esito positivo della "messa alla prova" di cui all'art. 168-bis c.p. ed espressamente fa salve le sanzioni amministrative accessorie se previste dalla legge.

A tal proposito, la Corte rimettente sottolinea il disaccordo rispetto al principio enunciato dalla già citata sentenza  n. 44132 del 09/09/2015, ric. Longoni, che si era espressa nel senso che:  "Poiché non é seriamente dubitabile che l'applicazione della causa di non punibilità della quale si discorre presuppone l'accertamento del reato, ad essa consegue comunque la sospensione della patente di guida e per un periodo superiore a quello previsto per colui che incorre nella violazione sanzionata dalla lettera a). Ove il giudice si pronunci per la non punibilità non si pone quindi il quesito in ordine al potere-dovere del giudice di disporre la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa per la irrogazione delle sanzioni amministrative.".

Ad avviso del Collegio rimettente, in effetti, questa conclusione non appare appagante perché le sanzioni amministrative accessorie, secondo il dato normativo che emerge implicitamente ma inequivocabilmente dalla lettura dell'art. 186 CdS, possono essere applicate solo nel caso di una sentenza di condanna:  il provvedimento di proscioglimento per tenuità del fatto, pur contenendo l'accertamento della condotta dell'agente, non può essere equiparato ad una sentenza di condanna. Ed a tale proposito, viene rilevato che l'applicazione dell'istituto comporterebbe, quindi, degli ulteriori vantaggi a fronte di una violazione più grave rispetto a quella punita con la sola sanzione amministrativa.

E dunque, la Corte, per la rilevanza e complessità della questione fin qui esaminata, e per il potenziale contrasto giurisprudenziale quale prospettato,  ha rimesso la questione alle Sezioni Unite affinchè venga fornita indicazione, in relazione agli aspetti come sopra evidenziati, circa l'applicabilità o meno dell'istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis c.p. (introdotto dal Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, articolo 1, comma 2) ai reati di cui all'art. 186, secondo comma, lettere b) e c), del Codice della Strada.

 

Avv. Giuseppe Di Palo