Diffamazione a mezzo stampa e diritto di critica.

31.08.2017 18:09

E' principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui la scriminante del diritto di critica, pur trovando comune matrice nella tutela costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, abbia una portata più ampia di quella del diritto di cronaca. E ciò in quanto l'esercizio del diritto di critica non si concretizza nella mera narrazione di fatti, bensì nell'espressione di un giudizio e, più in generale, di un'opinione. Opinione che, in quanto tale, non può quindi pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica non può che essere fondata su un'interpretazione necessariamente soggettiva dei fatti, posto che la realtà può essere percepita in modo differente e che due narrazioni dello stesso fatto possono perciò stesso rivelare divergenze anche marcate (ex multis Sez. 5, n. 7662 del 31 gennaio 2007, Iannuzzi e altri, Rv. 236524). 

Perché il diritto di critica assuma valenza scriminante è peraltro necessario, secondo la stessa giurisprudenza, che venga esercitato entro precisi limiti, individuati essenzialmente in quelli della continenza espressiva e della veridicità dei fatti posti a fondamento della critica, nonchè dell'interesse pubblico alla conoscenza di questi ultimi, qualora il diritto venga esercitato per il tramite dei mezzi di informazione. 3.2 Con riguardo al requisito della continenza espressiva e della correttezza del linguaggio, si ammette che la critica assuma anche toni forti ed aspri, ma l'offesa che trascende in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale del soggetto criticato e non le sue azioni od opinioni, viene considerata — come ricordato anche dalla sentenza impugnata - incompatibile con il legittimo esercizio del diritto. In tal senso è affermazione oramai tralaticia nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, quella per cui il limite della continenza nel diritto di critica deve ritenersi superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (ex multis Sez. 5, n. 15060 del 23 febbraio 2011, Dessi' e altro, Rv. 250174). 

In tal senso si è peraltro avvertito come tale limite non possa ritenersi superato per il solo fatto dell'utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 37397 del 24 giugno 2016, C., Rv. 267866). 

Più in generale si è precisato che il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l'esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purchè tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all'opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi (Sez. 1, n. 36045 del 13 giugno 2014, P.M in proc. Surano, Rv. 261122).