Arresti domiciliari: va dai carabinieri perché non sopporta sorella e suo marito. Condannato per evasione.
Tizio, ristretto agli arresti domiciliari, dopo una lite con sua sorella ed il marito, si dirige verso la caserma dei carabinieri per essere tradotto nuovamente in carcere.
Ad avviso della Corte d'Appello di Napoli la condotta in esame configura il reato di evasione.
L'imputato, ritenendo errata la valutazione dei giudici dell'appello, ricorre per Cassazione evidenziando, in particolare, che con la sua condotta non vi fosse stata "una rilevante soluzione di continuità dello stato di restrizione", né alcuna connotazione dolosa nel proprio comportamento, che non aveva comportato "la sottrazione alla sfera di controllo degli organi di vigilanza e dunque la lesione dell'interesse giuridico protetto dall'art. 385 c.p.".
La Corte di Cassazione (sent. n. 8614/16), evidenziando che Integra il reato di evasione la condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare e di presentazione presso la stazione dei Carabinieri ancorché per chiedere di essere ricondotto in carcere, ribadisce che il reato di cui all'art. 385 cod. pen. deve ritenersi configurato ogni qualvolta vi sia volontario allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari, in difetto di previa autorizzazione da parte della competente A.G., a tale riguardo non assumendo alcun rilievo, in senso contrario, né la durata o la distanza dello spostamento, né i motivi alla base della determinazione del soggetto agente, ove pure riconducibili al deterioramento del rapporto con i familiari.
La Corte, evidenziando come lo scopo della norma sia quello di tutelare corretta attuazione della pretesa punitiva dello Stato o le esigenze cautelari, segnala come le conclusioni in senso difforme rese in altre sentenze non esprimono, in realtà, un orientamento diverso, ma un semplice adeguamento della norma alla realtà fattuale con la quale questa va parametrata.
In particolare:
- I fatti che hanno dato luogo alla sent. n. 32668 del 02.03.2010 erano i seguenti: il soggetto agente, anche in quel caso costituitosi presso la stazione dei Carabinieri per essere ricondotto in un istituto di pena, con comportamento motivato dalla volontà di evitare che una lite poco prima insorta in ambito familiare potesse degenerare, aveva tuttavia fatto precedere la propria condotta da una telefonata ai militari per essere urgentemente ricondotto in carcere, salvo poi, non avendo avuto la tempestiva presenza degli stessi, raggiungere personalmente la vicina caserma, "colto da un irrefrenabile stato d'ansia": onde la ritenuta assenza di una "effettiva e concreta violazione dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice, che mira a garantire la corretta attuazione della pretesa punitiva dello Stato o le esigenze caute/ari", esclusa dalla descritta dinamica del fatto.
- Nel caso oggetto della sentenza n. 16673 del 13.04.2010 (Sez. 6, Rv. 247051), l'imputato, sempre in ragione dell'addotta impossibilità di protrarre la convivenza con i familiari, aveva richiesto telefonicamente l'intervento del personale di p.g. preposto ai controlli, che aveva successivamente atteso stazionando sull'uscio di casa dopo aver preannunciato che l'avrebbe varcata al precipuo scopo di essere tratto in arresto, in tal caso essendosi esclusa la sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.
- Ed ancora, nel caso di cui alla sent. n. 25583 del 05.02.2013, viene evidenziato come sia emerso con chiarezza, in punto di fatto, alla stregua di quanto accertato dai giudici di merito, che l'imputato "usci dalla sua abitazione per l'impossibilità di protrarre la convivenza con i familiari e giunse, immediatamente dopo, per la via più diretta, alla stazione dei Carabinieri, dove gli arresti domiciliari tramutarono in consegna alla forza pubblica", evidenziando dunque, anche in tal caso, come non vi fu alcuna reale sottrazione alla sfera di vigilanza degli organi di controllo e, dunque, alcuna sostanziale soluzione di continuità dello stato di restrizione del prevenuto.
Il caso di cui al punto n. 3 non appare significativamente dissimile rispetto a quello del quale si sta discorrendo in questa sede.
Vi sono però delle diversità che, come ben evidenzia la stessa Cassazione in motivazione, non possono non essere prese in considerazione.
Ed infatti, pur non essendo stata messa in dubbio l'effettività della motivazione alla base dell'agire del CANTIELLO, nondimeno è del tutto ignoto il momento in cui egli ebbe ad allontanarsi dall'abitazione in cui era sottoposto al regime degli arresti domiciliari e, correlativamente, se lo stesso si recò direttamente e per la via più breve presso la più vicina stazione dell'Arma, ovvero se maturò solo in seguito il convincimento posto in essere, che ben si era guardato dal rappresentare preliminarmente alle Forze dell'Ordine.
Ne deriva, perciò, che l'unico dato certo è costituito dall'indebito allontanamento dal luogo della restrizione domiciliare: condanna, quindi, giusta, ad avviso dei Giudici di Piazza Cavour.
Avv. Giuseppe Di Palo