Abusi edilizi: il concetto di temporaneità e precarietà delle opere nel panorama giurisprudenziale.

28.02.2017 15:51

La natura precaria dell’opera edilizia non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione né dalla sua facile amovibilità; quel che conta è la oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che l’opera è destinata a soddisfare.
A tale proposito va richiamato il dettato normativo che, nel definire gli interventi di "nuova costruzione", per i quali è necessario il permesso di costruire o altro titolo equipollente (artt. 10, comma 1, lett. a, e 22, comma 3, lett. b, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), individua - tra gli altri - i manufatti leggeri e le strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come depositi, magazzini e simili e "che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee" (art. 3, comma 1, lett. e.5, d.P.R. 380/2001 cit.).

La natura oggettivamente temporanea e contingente delle esigenze da soddisfare è richiamata anche dall’art. 6, comma 2, lett. b, d.P.R. 380/2001 per individuare le opere che, previa mera comunicazione dell’inizio lavori, possono essere liberamente eseguite.
Si tratta di criterio che significativamente, anche se ad altri fini, l’art. 812 cod. civ. utilizza per collocare nella categoria dei beni immobili gli edifici galleggianti saldamente ancorati alla riva o all’alveo e destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione, così diversificandoli dai galleggianti mobili adibiti alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne, di cui all’art. 136 cod. nav. e che, a norma dell’art. 815 cod. civ., costituiscono, invece, beni mobili soggetti a registrazione.
La oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori, la sua conseguente attitudine ad una utilizzazione non temporanea, né contingente, è criterio da sempre utilizzato dalla giurisprudenza per distinguere l’opera assoggettabile a regime concessorio (oggi permesso di costruire) da quella realizzabile liberamente, a prescindere dall’incorporamento al suolo o dai materiali utilizzati (Sez. 3, Sentenza n. 9229 del 12/02/1976, Sez. 3, Sentenza n. 1927 del 23/11/1981, Sez. 3, Sentenza n. 5497 del 11/03/1983, Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 23/03/1994, Sez. 3, Sentenza n. 12022 del 20/11/1997, Sez. 3, Sentenza n. 11839 del 12/07/1999, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009, quest’ultima con richiamo ad ulteriori precedenti conformi di questa Corte e del Consiglio di Stato).

Nemmeno il carattere stagionale dell’attività implica, di per sé, la precarietà dell’opera (Sez. 3, Sentenza n. 34763 del 21/06/2011, Sez. 3, Sentenza n. 13705 del 21/02/2006, Sez. 3, Sentenza n. 11880 del 19/02/2004, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009 cit.).
Il riferimento alla temporaneità e alla contingenza dell’esigenza, piuttosto che alle caratteristiche strutturali dell’opera edilizia ed al materiale impiegato per la sua realizzazione, deriva dal fatto che nella riflessione dottrinaria e giurisprudenziale del secondo dopoguerra si è venuta consolidando la consapevolezza che il territorio non può più essere considerato strumento destinato al solo assetto ed incremento edilizio (art. 1 L. 1150/42), ma come luogo sul quale convergono interessi di ben più ampio respiro che dalle modalità del suo utilizzo (o del suo non utilizzo) possono trovare giovamento o, al contrario, pregiudizio, sì che la sua trasformazione urbanistica ed edilizia (così l’art. 1 L. 10/77 che, si noti, operando un rivolgimento copernicano rispetto all’art. 1 L. 1150/42, ha posto l’attività edilizia in secondo piano rispetto a quella urbanistica) costituisce oggetto di compiuta valutazione e comparazione degli interessi in gioco e, dunque, vera e propria attività di governo (così l’art. 117, comma 3, Cost.), non sempre, e non solo, appannaggio esclusivo della collettività che lo abita.
È evidente, pertanto, che la temporaneità dell’esigenza che l’opera precaria è destinata a soddisfare è quella (e solo quella) che non è suscettibile di incidere in modo permanente e tendenzialmente definitivo sull’assetto e sull’uso del territorio.